di Occhiodilince
Uscito dal naso, che schifo! Quelle vie piene di muco puzzolente, che brutta esperienza! Anno 2100, data memorabile per il mondo, poiché il nuovo virus "Alobe" colpì la popolazione mondiale, facendola cadere in una crisi spaventosa. I viveri sono pochi e a volte infetti e le risorse quasi nulle. Tutti gli scienziati, dopo molti mesi di ricerche, si arresero e smisero di cercare una cura. L'unica soluzione era quella di rivolgersi al famosissimo medico Logan, esperto in fisica, chimica e matematica. Suo figlio Victor fu colpito dal virus e si ammalò. Il padre, vista la gravità della situazione, tentò il tutto per tutto, decidendo di utilizzare ancora una volta la sua macchina che riduceva gli oggetti alla dimensione di un atomo. L'unico problema era la pericolosità della macchina, infatti, allo scadere del tempo (un'ora), le persone sarebbero tornate al loro stato normale e ci sarebbe voluto un mese prima che la macchina potesse tornare a funzionare nuovamente. Logan decise di partire alla volta della sua nuova avventura all'interno del corpo di suo figlio. Il nostro eroe accese la macchina e dopo pochi minuti si ritrovò piccolissimo, all'interno del corpo del suo paziente. L'entrata fu semplice, ma il problema era dove andare, perché lo scienziato non sapeva quale organo o tessuto poteva essere stato infettato dal virus. Lungo la strada si trovò davanti ad una miriade di cellule morte o danneggiate, senza contare che alcuni organi non funzionavano più molto bene. La cosa più terrificante che notò fu la presenza di strozzature nelle vene e nelle arterie, così il sangue non riuscendo più a irrorare le cellule, queste in poco tempo morivano. Il risultato finale sarebbe stata una morte veloce e inesorabile. Al nostro eroe rimanevano solamente trenta minuti di tempo, così raccolse alcune particelle minuscole di "Alobe" che analizzò all'interno della sua capsula-laboratorio, sottoponendole a diversi test finché trovò la cura. A questo punto iniettò nelle arterie il virus modificato. Purtroppo, il tempo era quasi scaduto (solo trenta secondi alla fine dell'effetto); dopo il suo corpo sarebbe ritornato allo stato normale. Logan si diresse velocemente verso un'uscita: le narici. Appena entrato fu bloccato da una mucosa appiccicosa che lo bloccava. Fortunatamente, un gigantesco starnuto lo fece uscire. A questo punto, Victor se lo vide davanti a sé e gli chiese da dove fosse spuntato. Il padre gli raccontò orgoglioso e un po' impaurito la sua impresa. Nel giro di pochi giorni Victor guarì e nel giro di un mese il virus fu estirpato dall'intero pianeta.
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di Stiles
Bob è un piccolo alieno, proveniente dal pianeta Cybertron. Molto gentile, simpatico con tutti e molto forte. Da quando era nato, sognava di poter vivere sul pianeta Terra, e di farsi degli amici. Cosi un giorno, senza dire niente ai suoi genitori, prese la navicella che gli era stata appena regalata, e a tutto gas si avviò verso la Terra. Pianeta Terra: ore 7:30 -Johnny, alzati che è tardi. Devi andare a scuola. -Oh mamma, non ci voglio andare a scuola! La mamma senza dire niente, andò in camera di suo figlio, e lo buttò giù dal letto. Johnny si alzò, si vestì, scese a fare colazione, e insieme al suo amico Peater, andò a scuola. Mentre i due si avviavano verso la scuola, una loro amica li fermò, e li portò a vedere un oggetto, che era caduto la notte precedente. Peater, Johnny e Camilla, quando arrivarono sul luogo, videro questa grande navicella di ferro, la quale conteneva un essere grande come un uomo, ma verde come un albero in primavera. I tre si avvicinarono con cautela alla navicella. All' improvviso, l’alieno si alzò e disse: -Ciao, io essere Bob! I giovani spaventati, incominciarono a correre come delle gazzelle, ma vennero preceduti da Bob, che con le sue braccia elastiche, li fermò. Peater impaurito gli disse: -Ti prego, non ci mangiare! E Bob gli rispose: -Ma io non mangiare voi, io fare amicizia! I quattro si guardarono a vicenda, senza battere ciglio; quando all' improvviso Johnny, ruppe il silenzio: -Ehi, se tu vuoi essere nostro amico, devi imparare a vivere come un uomo. E Bob disse: -Io... vivere uomo? E como fare a vivere uomo? Pianeta Cybertron: ore 10:45 -Dove si è cacciato Bob? Dove si trova il mio piccolo verdino?- gridava la mamma: -Io appena lo trovo, gli do un sacco di botte!- diceva il papà. I due erano molto arrabbiati, ma allo stesso tempo, preoccupati per il loro piccolo Bob. Allora la mamma senza pensarci due volte, andò alla stazione spaziale di polizia, e piangendo disse al maresciallo Gulpa: -Oh maresciallo, mio figlio é scomparso! E il maresciallo Gulpa rispose: -Signora, non si preoccupi, troverò suo figlio in un battibaleno. E detto questo, il maresciallo Gulpa, assieme alla sua pattuglia, andò alla ricerca di Bob. Intanto sul pianeta terra.... -Bob, sta attento all'...BANG!... albero. Peater e Johnny, andarono ad aiutare Bob, che distrutto da tutte le botte prese, per colpa di una bicicletta, disse: -Ora io essere como uomo, perché io sapere andare in bici rossa.- E Johnny di rimando: -Ancora no, devi imparare a parlare come un uomo, e a divertirti come un bambino. I tre amici, completamente distrutti, ritornarono a casa, e cenarono in pace e tranquillità. -No, aspetta, aspetta....ASPETTA! Tranquillità, stai scherzando vero, quella sera fu un INFERNO con la i super maiuscola. -Secondo te, proprio per fare una domanda, tranquillità significa avere un tizio verde, che ti spruzza il ketchup in faccia, e ti lancia le patatine in testa, mentre stai MANGIANDO! -Si, hai ragione, non fu proprio una cenettina tranquilla; comunque caro il mio Peater, posso continuare a scrivere il mio capitolo? -Si, vai, vai. Ricapitolando, i tre dopo aver cenato, guardarono la Tv, e poi andarono a letto. Ma proprio in quel momento, quando i tre bambini entrarono in camera, una mano prese per il pigiama Bob, e... (continua) di Perla
Le persone si immaginavano gli alieni bellissimi e forti, invece Barton non era così. Tutto iniziò su un pianeta chiamato Alienopolis. Barton era un comune alieno (solo che pensava di essere sfortunato perchè il primo giorno delle superiori andò in bagno e rimase incastrato con la testa nel water). Barton aveva solo tre amici: Irina, per la quale aveva una cotta perchè costruiva robot ed era bella. Martos, il suo migliore amico dall'asilo e Beatriz, sua sorella (che odiava, ma allo stesso tempo che adorava). Gli altri gli chiedevano i soldi della merenda. Pure uno sfigato aveva un nemico, ma era una lei. Tutti la odiavano, tranne quelle oche che la seguivano. Lei era ricca perchè suo padre era imperatore e lei classificava la gente da come si vestiva. Barton non ne poteva più che scappò con la navicella di suo padre. Barton non sapeva guidare la navicella spaziale. Dopo qualche mondo un motore si staccò e l'alieno precipitò sulla terra in un cespuglio di rose bianche. Barton era di colore verde e aveva due antenne e si trasformò prima che un essere umano lo vedesse. Si trasformò nel primo essere vivente che vide. In un cane. Gina, la padrona del cane, mezza ceca, portò a casa Barton e disse :- Fuffy, non ti devi allontanare troppo, piove, adesso ti misuro la febbre. Barton, addolorato, si trasformò in un topo pensando che si sarebbe salvato, ma per sua sfortuna la donna aveva due gatti. Barton scappò come un fulmine ed ebbe un colpo di fortuna, i due gatti erano ciccioni e rimasero incastrati nella porticina riservata a loro. Barton fuggì e si trasformò in un ragazzo adolescente molto bello e, non sapendo dove andare, trovò un posto nella palestra della scuola superiore. La mattina dopo si svegliò circondato da adolescenti brufolosi che dicevano che era il più bello e popolare della scuola. Lui non capì perché fosse popolare e si guardò allo specchio; era biondo, occhi azzurri e con il fisico scolpito. Era vestito con la giacca di pelle e i vestiti all'ultima moda. Barton incominciò a giudicare le persone, come la sua nemica. Non era lui e dopo una settimana fece una scelta: - Preferisco essere sfigato ma me stesso e non un ragazzo scolpito. Alla fine chiamò suo padre e venne messo in punizione per un mese e settantadue "blob" (minuti). Barton ebbe il coraggio di dire a Irina che l'amava e alla sua nemica che era solo una stupida ad accettare la bellezza esteriore e non quella interiore. Pure uno sfigato come Barton trovò la felicità nella sua vita. di Salmone
“HEY! ... ANDRE TOCCA A TE! ... ”. È il 19 maggio del 2097. Sono sul palco e mi sento a disagio, preoccupato che il pubblico non creda alla mia storia e che possa deridermi. “Dai Andre ce la fai!” …… “Io sono Andrea, sono uno scienziato della compagnia spaziale U.R.M.S. (Unione Ricerche Missioni Spaziali). Sono sopravvissuto ad uno schianto su un pianeta sconosciuto e sono riuscito a tornare sulla Terra. Ora sono un ibrido! Metà alieno e metà umano”. Il pubblico, sbigottito, si appresta all’ascolto… Ero rilassato sulla poltrona della nave madre, esaltato da quel viaggio intergalattico, e che mi avrebbe consentito di conoscere mondi a me sconosciuti. Bevevo il mio tè caldo, quando sentii un grosso tonfo e a seguire l’allarme. Il capitano urlò “ALLA CAPSULAAAA 1! “. Io chiusi gli occhi e mi ritrovai in mezzo ad una distesa d’acqua infinita, un oceano. All’orizzonte vidi una piccola isola, all’apparenza sembrava un’isola normalissima, come quelle che trovi sulla Terra, ma è bastato poco per scoprire le prime stranezze: le piante e i fiori erano giganti, sovrastavano l’intera isola, caucciù carnivori, baobab che emettevano dalle loro enormi foglie un liquido nauseabondo e verdastro, margherite azzurre, ed una svariata quantità di erbacce ruminanti. Decisi di raggiungerla a nuoto. Durante il tragitto, affaticato e allo stesso tempo impaurito, vidi delle strane forme di vita, erano pesci alieni: erano orribili, con occhi enormi, luminosi e gialli, pinne sproporzionate rispetto al corpo, e soprattutto molto pericolosi a causa dei loro denti aguzzi. Arrivato sull’isola iniziai a cercare del cibo e qualsiasi oggetto che potesse aiutarmi a trascorrere la notte in sicurezza. Mi munii di steli che fungevano da spago e di piccoli insetti che divennero l’esca per far abboccare qualche pesce succulento. Con tutto il fogliame trovato realizzai la mia capanna ed è così che col passare dei giorni, pian piano, cominciai ad adattarmi a quel nuovo e primitivo modo di vivere e a crearmi una certa stabilità. Trascorrevo le giornate a cercare quanti più utensili utili alla realizzazione di un qualche mezzo di trasporto per fuggire da quel luogo divenuto tanto familiare quanto estenuante. Riuscii nell’impresa grazie al riuso di rottami della nave madre e capsule distrutte. Un bel giorno, un giorno iniziato come tanti altri, decisi di addentrarmi in una foresta, fino ad allora da me inesplorata e da sopra un promontorio scorsi una nuova isola. Decisi di raggiungerla e qui, con mia grande sorpresa, trovai una struttura, o meglio una base aliena sormontata da quello che sembrava un enorme cannone. Dopo essermi munito di qualche materiale in più, tornai sulla mia isola, e mi misi all’opera per realizzare un trasmettitore satellitare per comunicare con il mio pianeta. Andai a dormire con il desiderio di mettere in atto, il giorno successivo, il mio intento. Appena sveglio mi misi in contatto con la Terra, e immediatamente ricevetti un messaggio di soccorso. La pattuglia di salvataggio mi inviò le coordinate dove sarebbero atterrai: 2003X-57Y. Da lontano li vidi arrivare, furono davvero tempestivi. Ero salvo, la mia avventura era finalmente giunta al termine. Inaspettatamente sentii un rumore assordante, mi girai e vidi il cannone pronto a sparare. Mi affrettai per entrare in contatto con la navicella nel vano tentativo di avvisare i miei soccorritori, ma fu tutto inutile. Spaventato da un forte boato, vidi la navicella esplodere e precipitare nelle profondità dell’oceano. “La mia vita era segnata… Ero solo… in compagnia solo di pesci alieni”. Mi sentivo stanco e affaticato ma riuscii ad arrivare nella mia base e crollai immediatamente sul letto, debole e disperato. Dopo cinque anni di assoluta monotonia, ogni giorno era uguale agli altri ed io iniziavo e terminavo le mie vuote giornate con l’unico pensiero che riempiva il mio triste animo sconsolato: volevo scappare via da quel posto infernale. “Ho deciso, devo ritornarci”. Il giorno dopo, armato di coraggio e forza d’animo, tornai su quella maledetta isola, maledetta isola aliena. Entrai nella base, scesi in un enorme spiazzo pieno di corridoi dove al centro trovai un enorme pannello di controllo. Girando tra i corridoi, mi imbattei in stanze nuove, ognuna accomunata dalla presenza di un piedistallo contenente un oggetto bizzarro all’interno di una cupola impenetrabile. Alla fine di un lungo corridoio trovai una stanza segreta con all’interno una fialetta contenente una sostanza verde. Decisi di prenderla e portarla con me, senza troppi ripensamenti. AAAAAH, COS’É? UNO SCHELETRO? NON ERO L’UNICO ESSERE UMANO AD ESSERE APPRODATO SU QUELLA STRANA ISOLA! Una volta tornato sulla mia isola, totalmente manchevole di coscienza e raziocinio, in preda alla disperazione, decisi di tentarle tutte… mi iniettai, così senza pensarci troppo, quel liquido verdastro nel braccio, ma niente, non successe niente. L’indomani mattina, al mio risveglio, notai l’apparizione di squame verdi sul braccio. Stava accadendo qualcosa, mi era cresciuto un braccio alieno. Girovagando per la base aliena mi imbattei in una navicella, purtroppo non funzionante ma con l’aiuto di propulsori e di rottami vari mi misi a lavoro per rimetterla in sesto. Trascorsi diversi giorni, non so quanti per l’esattezza, a sistemare la navicella avvalendomi di tutti i meccanismi elettrici che trovavo. “FATTO! FUNZIONA! CE L’HO FATTA!!!”. Non esitai un minuto ad accendere l’astronave e andare via da quel maledetto oceano, da quel maledetto pianeta! “Ora sono mezzo umano e mezzo alieno, ma il mondo è cambiato grazie a me, nuove ricerche e scoperte scientifiche, e un nuovo mondo da esplorare per bene e da colonizzare! Tutto ciò grazie a me!”. “Chi sono io?”. di Ci_metto_la_faccia
Anno 2037. Con il continuo sviluppo dell’uomo nel campo della medicina ormai si può vivere fino a 140 anni circa, e questo influenza pesantemente il numero di abitanti sulla Terra: ben 20 miliardi di uomini la abitano e ormai sono troppi per questo pianeta, perciò sono stati costruiti due livelli di superficie in più, tenuti in piedi grazie alla forza magnetica con l’utilizzo di poli uguali tra loro che si respingono. Tutti e tre i livelli sono collegati da un ascensore che scende o sale in base al censo. L’ultimo piano ha l’aria fresca e la luce naturale del sole, ed è abitato dai ricchi; al secondo piano si trovano quelli con una vita normale con un lavoro ben retribuito: la luce è presente ma fievole; mentre al piano terra si trovano i poveri, l’illuminazione è artificiale e il tasso di sopravvivenza è minimo: gli abitanti forti e sani devono lavorare nelle miniere. A questo piano vive S., un uomo ormai consumato dai lavori minerari, che ormai si guadagna da vivere con piccole ruberie. S. è a casa con sua madre e suo fratello: “Allora, cosa hai fatto oggi, S.?” chiede D. “Cosa dovrei fare?! Cerco di andarmene da questa topaia!”. “Sii gentile con tuo fratello, S.; cercava di instaurare una conversazione”, dice la mamma con tono di rimprovero. S. è intelligente e senza scrupoli e da anni cerca una soluzione per arricchirsi e finalmente l’ha trovata: non può continuare a rubare, se no ci metterebbe un sacco di tempo, quindi escogita una truffa. Va di casa in casa dicendo: “Ho un affare da proporle, mi stia a sentire! Lei sa che qui non esistono banche, no? Io ho la soluzione: mi dia i suoi soldi, ho personalmente progettato una cassaforte a prova di ladro. Le ridarò il 10% dei soldi ogni mese, e nessuno li può rubare”. Tanti caddero nel tranello, mentre alcuni erano così poveri che non gli sarebbe servita la cassaforte, e altri non si fidarono; ma S. ormai era pronto ad andarsene e a salire al piano superiore. S. è felice, ha una casa normale, lavora in un ufficio e fa una vita normale, ma non è ancora soddisfatto. Vuole di più, vuole una vera luce, vuole dell’aria fresca, vuole salire al primo livello e per farlo deve di nuovo agire disonestamente. Mentre pensa a cosa fare, squilla il telefono. Non può sapere chi è, e non può essere uno dei suoi familiari. S. alza la cornetta e sente una voce sconosciuta dirgli: “Benvenuto nella sua nuova vita al secondo livello, buona permanenza!”. S. è sollevato sapendo che si tratta di un semplice messaggio di benvenuto e non di una chiamata dal Governo che gli ordina di tornare da dove è venuto. I giorni passano e S. ha ormai capito come riuscire a lasciare anche il secondo livello, dove le persone sono ricche e con famiglie formate da genitori e un singolo figlio: vuole rapirne uno per chiedere un grosso riscatto e poi andarsene. S. conosce qualcuno che ha tutti i requisiti: il suo datore di lavoro. E sa anche come ricattarlo, dove abita e come riuscire a rapire il figlio senza essere beccato. Tutto fila liscio, rapisce, inganna ma soprattutto guadagna tanto da poter salire di livello e godersi una vera vita all’aria aperta e alla vera luce del sole, nel lusso e nella comodità ma allo stesso tempo nel terrore che qualcuno possa arrestarlo. S. è impaziente nell’ascensore, fino a quando le porte si aprono ed esce alla vera luce e si espone all’aria fresca: finalmente ha raggiunto il suo obiettivo. Sono passati due anni da quando S. ha raggiunto quel posto paradisiaco: finalmente si è potuto dare alle sue passioni come l’informatica, vive nella sua villa, quando sente dei rumori alla porta e delle urla: “Apri truffatore, sappiamo che sei lì dentro!”. S. è nel panico, non vuole tornare là sotto, non vuole assolutamente essere catturato e tornare al terzo livello. La porta è in legno massiccio difficile da sfondare. S. capisce che quella società non lascia scampo ai poveri, lasciandoli morire di fame e di sete sotto gli occhi di tutti; e lascia quelli del secondo livello con un’idea impossibile da realizzare. S. decide che non gliela darà vinta, e col computer disattiva il meccanismo magnetico e fa precipitare i livelli uno sull’altro, provocando la morte di tutti gli abitanti del pianeta. Lui compreso. A salvarsi sono solo i miseri lavoratori delle miniere che si trovano nel sottosuolo. Liberati dal giogo dei potenti, potranno ricostruire una società più giusta, in cui tutti gli uomini possano vivere dignitosamente allo stesso livello. di Nanadagiardino
PROLOGO Anno 3047 -Allora? Come siamo messi? Ci sono novità?- chiese la signora Smith. -Mi spiace Direttore , non abbiamo trovato nulla - rispose Minho. Era stata la stessa signora Smith, Brenda Smith, appena salita al ruolo di direttrice, a volere essere chiamata “Direttore”, poiché sosteneva che un nome maschile le assicurava più tono. -Com'è possibile? Lo ha creato l'uomo, ci dev'essere una sorta di formula inversa - disse alquanto infastidita. -I ricercatori non hanno trovato nulla - ribattè contrito Minho. -Nessuno? Nulla? Com'è possibile? La signora Smith era sbigottita. -Stanno perdendo la speranza... Non è mai successa una cosa simile. -Se davvero è come dici, l'umanità non ha alcuna possibilità di sopravvivenza - la voce di Brenda Smith era cupa – e le conseguenze saranno terribili. CAPITOLO 1 Anno 3079 GIORNO 1 (13/10/79) 7:59 p.m. Caro diario, questo è il giorno... anzi no, oggi è il mio compleanno. I miei zii mi hanno regalato un diario (che saresti tu), e ho deciso di scrivere ciò che mi succede. Innanzitutto ti racconterò la mia storia. Mi chiamo Newt1432, ho 14 anni e vivo sulla navicella “27DX”. Da ciò che mi hanno raccontato i miei zii, un tempo i nostri avi vivevano sulla Terra, un pianeta verde, fresco, rigoglioso... Purtroppo però la nostra razza iniziò a produrre, utilizzando sempre più gas inquinanti, e fu a quel punto che accadde la “Grande Catastrofe”, come iniziammo a chiamarla. Era l'anno 3050. Correva l'anno 3056 quando la parte di popolazione rimasta in vita decise di mettersi in salvo partendo alla volta dello spazio con navicelle costruite anni prima, per approdare su nuovi pianeti. Sinceramente a me quest'idea ricorda molto quando nell'antichità i viaggiatori decidevano di partire alla scoperta di nuove terre da colonizzare, e fino ad ora quest'idea non ha dato frutti. Tornando a me, credo che dovrei darti un'idea di come sono fatto. I miei amici, per quei pochi che ho, mi definiscono abbastanza avvenente, ma per quanto mi riguarda, non è un punto degno di grande nota. Sono abbastanza alto, carnagione olivastra tendente al dorato, capelli color grano e occhi color nocciola. Mi definisco una persona testarda e ribelle, nonostante questo cerco di non far contrastare i miei pensieri con quelli di altre persone, perché ne scaturirebbero quasi certamente delle liti. Chiudendo questa mia breve parentesi, credo di dover chiudere anche questa mia piccola pagina di diario, poiché per ora non mi viene null'altro da scrivere. GIORNO 2 (15/10/79) 8:53 a.m. Caro diario, oggi ti scrivo perché si terrà una manifestazione piuttosto importante qui da noi. Non è una di quelle programmate come il “Giorno della Commemorazione dei Caduti nella Grande Catastrofe” che si tiene il 6 Settembre, è una di quelle che si tengono ad ogni decesso di Cancelliere (nel caso non lo sapessi, è un modo di dire per indicare un lasso di tempo molto lungo)... ed effettivamente è un riferimento più che corretto, dato che questa cerimonia è celebrata proprio dal Cancelliere. Il Cancelliere è la seconda più alta carica da noi riconosciuta in linea gerarchica, e presiede delle manifestazioni... diverse. Ad esempio quella di oggi è per la “Commemorazione della Vita”. Questa in genere è celebrata dopo una strage o una grande epidemia, infatti non capisco come mai venga celebrata oggi. Per ora ti devo lasciare, dato che devo andarmi a preparare per partecipare alla Messa che apre la cerimonia. Probabilmente riprenderò a scrivere questa sera, ma per ora è tutto. GIORNO 2 parte seconda (9:32 p.m.) Come previsto non ho potuto scriverti per tutto il giorno, e infatti lo sto facendo ora... quasi di nascosto dai nostri Supervisori. Noi però generalmente li chiamiamo con un termine tipicamente turco, che però ci permette di parlare di loro senza farci scoprire. Li chiamiamo “Giannizzeri”. Nel caso te lo stessi chiedendo, quando uso il plurale, il “Noi”, intendo i ragazzi come me, orfani, perché ebbene sì, io sono orfano, nati nella navicella “27DX”, nell'anno 3065... Insomma, molto simili. Comunque quest'oggi, se mi è permesso dirlo, mi sono divertito, nonostante non fosse una festa particolarmente allegra. ...Sento dei passi, sarà un Giannizzero, se mi scopre è la fine, credo sia ora di andare a letto. Ti aggiornerò il prima possibile... Spero. CAPITOLO 2 Anno 3079 GIORNO 6 (28/10/79) 2:34 p.m. Caro diario, scusa se non ti ho scritto per tanto tempo ma sono successe parecchie cose, ci sono stati sviluppi inaspettati che non vedo l'ora di raccontarti. Ti ho già parlato del come siamo arrivati qui, ma non del perché. Ho incontrato due fra gli scienziati che ammiro di più. Il signor Minho e la signora Brenda Smith. Sono riuscito a parlare con loro... Anche se non sono tanto sicuro di esserne felice ora. Mi hanno rivelato cose che avrei preferito non sapere. Le cose che mi hanno detto potrebbero far insorgere delle ribellioni. Mi hanno spiegato il motivo per cui siamo partiti per lo spazio. Un motivo che credevo di conoscere. Che tutti credono di conoscere. Ma che in realtà tutti ignorano. Hanno detto che sì, certo, siamo scappati a causa delle radiazioni, ma queste tossine le ha create l'uomo. I nostri avi hanno creato quei gas. Volontariamente. Perché credevano avrebbe aumentato la produzione del terreno di petrolio. La cosa sconvolgente? E' che lo sapevano. Sapevano a cosa andavano incontro. Nonostante ciò non si sono fermati. Volevano di più. E invece hanno solo avuto come risultato la morte di miliardi di persone. Sono scioccato. Credo di aver bisogno di tempo per mandare giù la cosa. Ti aggiornerò il prima possibile. Spero. (continua...) di Jighpuff96
La bellezza è diventata l’unica ragione di vita, per questo il nuovo chirurgo della città sta trasformando tutti quanti: donne, uomini e bambini in persone perfette e uguali. La protagonista torna nella sua città Natale e vede gli abitanti della cittadina deformati (si stanno trasformando in alieni), e vuole scoprire il perché, sconfiggendo poi il chirurgo, rivelatosi uno dei tanti extraterrestri mandati sulla Terra per conquistarla, trasformando tutti in esseri simili a loro. “Tutti belli e soprattutto tutti uguali, venite dal chirurgo Spinn per diventare felici “. Questo è quello che ogni due ore, da circa una settimana, un uomo cantava allegramente alla TV, mentre le mamme dei bambini che guardavano incantati la televisione si truccavano con cipria, mascara e rossetto... per diventare delle bambole di pezza, e gli uomini non erano da meno: tutti quanti sempre in giacca e cravatta, magri, muscolosi, capelli tagliati alla perfezione e viso angelico... insomma, tutti quanti disgustosamente perfetti. “ Sì mamma, ho pulito la stanza... e sì, ho mangiato, stai tranquilla “ disse annoiata Kayla, sua madre l’aveva chiamata ben quattro volte solo quella mattina. Kayla si era trasferita ad Ashford, nel Regno Unito, quattro mesi prima, lasciandosi alle spalle la sua bellissima famiglia a Skegness, sempre nel Regno Unito. E adesso ad ottobre sua mamma le aveva chiesto se poteva venirli a trovare. Mentre Kayla era sulla sua Ranger Rover nera sua mamma la chiamò: “ Kayla ? Mi senti tesoro ? “ “ Sì mamma, forte e chiaro “ rispose “ Benissimo, volevo solo dirti che a pranzo c’è anche la signora Milly “ “ Oh fantastico! Lo sai quanto amo quella donna “ disse ironicamente “ Andiamo! Non è poi così tanto male, ha portato i panini alla crema, i tuoi preferiti “ “ No, non è poi così tanto male, no no, e comunque mamma i miei preferiti sono quelli al cioccolato... “ “ Va bene va bene, allora ci vediamo tra dieci minuti circa “ “ Come tra dieci minuti, mamma ? Ci metto almeno un’ora, c’è molto traffico “ “ Scusami eh, ma la tua macchina non ha il tasto per avviare la modalità fluttuante ? “ “ Ah sì, me ne scordo sempre, grazie “ “ Ciao Kayla “ “ Ciao mamma “. Chiuse la chiamata, premette il tasto e si sollevò in aria. Si stava pulendo i pantaloni da qualcosa di inesistente, era nervosa, non era mai stata nelle grazie della signora Milly, e non aveva mai capito perchè. . . Forse era ancora arrabbiata per quella volta in cui Kayla aveva truccato e vestito il suo bel gattino (ciccione) nero, Wilbur. Suonò il campanello e davanti alla porta comparve Millicent (parli del diavolo spuntano le corna)... Ma a Kayla non apparve una vecchia signora con i capelli bianchi sempre raccolti, con quello sguardo austero ingigantito dagli occhi glaciali, bensì una faccia giovane, forse troppo, quasi da ventenne, tutta truccata e con le forme di una giovane donna... Questo la face rabbrividire, e per un momento quasi svenne. “ S-salve signora Milly “ balbettò Kayla. “ Ma come ? Hai ancora paura di me ? “. E tutto lo sgomento scomparve lasciando spazio alla rabbia “Oh no, Millicent, adesso sono cresciuta e non ho più paura di una signora anziana “ - con una faccia alquanto spaventosa - voleva aggiungere, ma se lo tenne per sé. “ Vedo che la tua insolenza non ti ha abbandonata “ “ Eh no, e vedo che lei è cambiata, e anche molto, cosa ha fatto al volto? “ “ Niente, dai entra... “ disse Millicent con una faccia malinconica. “ Mamma ? “ “ Si Kayla ? “ “ Dove sei ? “ “ Sono in cucina “ Kayla entrò in cucina e vide una donna troppo giovane per essere sua madre (era identica a Milly), intenta a tagliare alcune verdure “ Oh, salve, chi è lei ? “ “ Kayla ? Ma come non mi riconosci ? “ “ Ehm, veramente no, mi scusi, forse mi deve rinfrescare la memoria “ “ Tesoro, spero tu stia scherzando. . . sono tua madre! “ “ Sei davvero tu mamma ? Se sei tu allora qual è stato il mio primo animale domestico ? “ “ Un criceto, Dustin “ “ Oddio! “ e così Kayla abbracciò sua madre dopo quattro mesi; le prese il volto tra le mani e la guardò attentamente. . . maledizione, sembrava più giovane di lei. “ Cosa avete fatto al viso tu e Millicent ? “ “ Oh tesoro, tutte le donne sono così ormai, tutte belle, sono andate dal chirurgo Spinn, lui sì che è un brav’uomo, dovresti andarci anche tu “ “ Un chirurgo ? “ “ Esattamente “ “ E papà dov’è ? “ “ Papà arriverà a momenti, è andato anche lui dal signor Spinn, anche gli uomini ora possono essere perfetti “ “ Oh no... “ “ Come ‘oh no’? Sono sicura che uscirà un bell’uomo “ disse con aria sognante. “ Sì sì, mamma, io vado un attimo fuori “ “ Va bene tesoro, fra poco è pronto il pranzo! “ le urlò di rimando. Kayla uscì fuori e prese un respiro profondo, non ci poteva credere. “ E’ un sogno... “ continuava a ripetersi, e intanto una donna uscì dalla sua villetta. “ Salve “ la salutò per educazione. “ Oh, salve a lei “. Alzò lo sguardo e per poco Kayla non urlò inorridita. . . aveva la stessa identica faccia di sua mamma e Millicent, ma il suo volto era ricoperto da lesioni da cui fuoriusciva un liquido verdastro. “ Sta bene ? La vedo pallida “ “ S-s-sì, devo andare “ disse velocemente, e corse dentro casa, nella sua vecchia camera, pensando di esserselo immaginato. “ Sono tornato, amore! “ questo è quello che Kayla sentì appena sveglia, si era appisolata sulla poltrona vicino al letto. “ Ciao papà “ disse ad occhi chiusi, non voleva ancora vederlo, aveva paura. “ Ciao Stellina, mi sei mancata tantissimo “ disse di rimando il padre, e Kayla sentendo quel nomignolo che le era sempre piaciuto aprì gli occhi, e ovviamente non le apparve il volto paterno che tanto aveva adorato, bensì, un uomo di all’incirca trent’anni con occhi verdi, capelli neri e corpo muscoloso, era un bell’uomo, certo, ma non era suo padre. “ Andiamo a mangiare, su “ disse Robert, il padre di Kayla, mentre continuava ad accarezzare la testa di quest’ultima. Un inferno... un vero e proprio inferno, durante il pranzo la tensione e l’imbarazzo si potevano tranquillamente tagliare; a Kayla sembrò di essere ad una cena qualunque con degli sconosciuti, e il problema era quello, gli sconosciuti erano i suoi genitori. Kayla non aveva parlato per quasi tutto il tempo, a parte quelle poche volte in cui provava a far incominciare una conversazione con loro, che veniva, puntualmente, stroncata da Millicent. (continua...) di Cuoreinfuocato
Dopo l’innalzamento del livello dei mari, la crosta terrestre era stata sommersa e gli uomini, per mezzo di tute, che garantivano la respirazione sott’acqua, vivevano in fondo al mare. Giorno 1 E’ quasi una settimana che vivo con la mia famiglia sott’acqua. L’oceano è stato diviso in 3000 distretti, tutti perfettamente uguali e con lo stesso numero di persone. Noi viviamo nel distretto numero 47 dentro ad una struttura fatta di corallo. Non si può chiamare “casa”: è una grandissima stanza con circa 10 famiglie. Non c’è una cucina, non ci sono i letti. Dormiamo per terra, non ci facciamo mai una doccia. Questa situazione mi fa saltare i nervi. Ogni giorno persone incaricate vengono a portarci del cibo. Ma, un attimo...non è cibo, è solo un ammasso di pesci spezzettati viscido e umido... mi fa vomitare. Per mangiare non si deve solamente aprire la bocca, ma bisogna incastrare un tubo metallico in un’apertura della tuta, dopodiché si inserisce il cibo nel tubo e si mangia. E’ una cosa impossibile, e con questo non mi viene proprio voglia di mangiare. L’unica cosa che amo fare è scrivere su un diario. E’ fatto di un materiale che, diversamente dalla carta, non si scioglie sott’acqua. Ci hanno detto di non uscire dalla nostra “casa” perché non sappiamo contro che cosa potremmo trovarci, ma adesso basta, sono qui da sette giorni, rinchiusa... voglio uscire. Senza farmi vedere da nessuno sono uscita. Non ero mai andata fuori e non mi sono mai trovata in una situazione di disorientamento. Tutto, là fuori, era strano, quasi triste. C’erano solamente grandi strutture, avevano sradicato quasi tutte le piante marine per costruire “case”. Non c’era più niente. Gli esseri umani mi facevano pena. Quando rientrai, i miei genitori erano lì che mi aspettavano, mi hanno sgridato talmente tanto che sarei voluta uscire e non tornare più...non sopportavo più questa situazione, pensavo che almeno loro mi capissero, ma mi sbagliavo. Giorno 2 Ogni giorno uguale a un altro, con la differenza che oggi non posso uscire perché papà mi tiene sotto controllo. Oggi sono andata a “scuola”, ma mi sembra strano chiamarla così. Ho scoperto che l’edificio accanto alla mia “casa” è la scuola del mio distretto. Quando sono entrata, l’ambiente mi è sembrato freddo: i banchi e le sedie, se si possono chiamare così, sono dei blocchi di marmo talmente pesanti che non si possono spostare. Sono scomodissimi. Su ogni banco c’è un computer che funziona in acqua e rimane carico fino a quando c’è abbastanza ossigeno in essa. Quando il professore è entrato aveva un aspetto cupo e per quasi tutta la lezione non è riuscito a parlare per il disagio. Si sentiva male, non se l’aspettava così la scuola, era così diversa, era cambiata… All’ora di cena avevo una fame inarrestabile, era una settimana che non mangiavo, così mi decisi. “Mamma, c’è un po’ di pesce?” “Quando stai per morire, però, lo vieni a cercare, eh! Non si fa così...tutti i giorni c’è gente in altri distretti che muore perché non ha il cibo e non può neanche chiederlo e tu ti permetti di venire qua e chiedere se c’è il cibo? Ho litigato con te per farti mangiare e adesso lo vuoi, solo quando decidi tu di volerlo…” “Ma... mamma, io…” “Stai zitta! Non pensare di avere ragione, vai a letto subito!” “...” Mi rispose così... anche lei era cambiata. La mamma per nulla al mondo mi avrebbe risposto così, non era da lei, le era successo qualcosa, sicuramente… Giorno 3 Oggi mi sono svegliata presto, avevo fame e ho approfittato perché tutti ancora dormivano: sono andata fuori a ripescare qualcosa dal bidone. Avevo trovato qualche avanzo di pesce, mi misi il tubo e iniziai a mangiare...mi sentivo un po’ meglio. La cosa che non sopportavo era non aver fatto la doccia per una settimana, mi sentivo sporca, sudicia. Avrei vissuto, come tutti gli altri esseri umani, la vita senza lavarmi, perché se mi fossi tolta la tuta non avrei avuto più l’ossigeno e sarei morta. Ma io volevo morire... non potevo resistere, non in quella situazione... la soluzione ce l’avevo lì, dovevo solo togliermi la tuta, dovevo solo tagliarla... non era una cosa difficile. Nonostante avessi voluto non l’ho fatto, non avevo il coraggio. Sono andata a scuola, accompagnata dal papà, a piedi. In quella classe cupa, tetra, sembrava che al professore fosse successo qualcosa, ma... cosa? Stava impazzendo: correva fra i “banchi” agitando le braccia, come una gallina agita le ali... era veramente impazzito. Ha iniziato a parlare, ma diceva cose insensate: “Ragazzi, pazzia, la rivolta, devo fare una rivolta... non si può andare avanti così! Non guardatemi, mettete la testa sul banco e basta!”. Faceva paura… Secondo me la rivolta l’avrebbe fatta davvero, era veramente impazzito. Alla fine della lezione sono tornata a casa. Anche là, l’aria era tesa, quasi strana. La mamma era agitatissima e idem mio padre. Ho provato a chiedere cosa stava succedendo, e loro, stranamente, mi hanno risposto: “Siediti cara, dobbiamo parlarti. Questa mattina, mentre tu eri a scuola, sono venuti degli incaricati dal presidente e ci hanno detto che sta arrivando una catastrofe, alcune persone si stanno ribellando, perché sono stanche di questa situazione. Domani non andrai a scuola perché hanno paura che i rivoluzionari siano anche nel nostro distretto, non sono sicuri di niente…”. “Mamma, io proprio di questo volevo parlarti…” “Dimmi, forza. Ti ascolto”. “Allora, oggi, il professore era strano, molto… Ha iniziato a dire parole senza senso. Diceva che avrebbe voluto fare una rivolta perché si sentiva male, e poi sudava... non ho mai visto una persona così. E poi, la cosa che mi preoccupa è che io la penso allo stesso modo: non posso resistere così, non posso neanche fare una doccia e il cibo non mi piace.” “Figlia mia, tu non devi sentirti così, ma è normale che ti senta diversa, cambiata. Il nostro mondo è cambiato, ma vedrai che andrà tutto bene. Noi ci siamo se hai bisogno, lo sai, vero?” “Certo che lo so, però ho una strana sensazione, per la prima volta nella mia vita ho vergogna, non è normale che il mondo sia cambiato così tanto in così poco tempo...e poi vi devo dire un’altra cosa: stamattina ero quasi tentata a s... su…” e mi misi a piangere. “Dicci, cara, dicci... non piangere.” “Beh, stavo dicendo che volevo suicidarmi…” Non riuscivo a parlare, ma dovevo, dovevo liberarmi di tutti quei pensieri che mi frullavano in testa. “Ma... io sono senza parole, tu sei una così brava ragazza, sei fantastica, hai t…” “Non è vero mamma,” dissi piangendo “io non sono fantastica, sono uno schifo, non sono niente!” e corsi via. Mi gettai sul letto, con la faccia sul cuscino, a piangere... non resistevo... (continua...) di Bolladisapone
Nell'universo c'era un piccolo pianeta: Gretox. Su questo corpo celeste viveva una specie aliena e c'erano tante piante, era un pianeta verde: da qualsiasi parte ti giravi potevi vedere le foglie e i campi in armonia con le abitazioni degli alieni fatte di fango e terriccio. Un giorno, però, ci fu un'esplosione di una centrale contenente un tipo di energia che ancora sul nostro pianeta, la Terra, non esiste. Questa esplosione fece mutare geneticamente le piante, quei bei vegetali che popolavano Gretox, rendendole estremamente pericolose: crebbero improvvisamente e cominciarono a nutrirsi di sangue. Dopo essersi cibate di tutti gli abitanti del piccolo pianeta, le piante svilupparono la capacità di attrarre su Gretox gli esseri viventi di altri pianeti. Vi chiederete come faccio a sapere queste cose... bene, adesso ve lo spiego. Era verso la metà di Novembre -fidandomi della mia memoria...- ed io -ah, a proposito mi chiamo Jane- Brianna, Josh, Alex e Ruby dovevamo raggiungere una base spaziale: Stella X-12. Noi cinque eravamo astronauti esperti e ci piaceva molto l'idea di galleggiare nel nulla, in mezzo a tanti puntini brillanti nell'oscurità -adesso non lo rifarei per niente al mondo... -Il giorno della partenza eravamo agitatissimi ed euforici, insomma, eravamo già partiti altre volte, cosa poteva andare storto? Dopo due ore di fremente attesa partimmo -Lassù nello spazio infinito, nella tranquillità, mi sentivo al sicuro, sì, lo so che può sembrare strano dato che ero lontanissima dal mio pianeta e che ci sono tanti pericoli, ma nella mia navicella, la mia piccola e stretta dimora fluttuante, mi sentivo protetta- Il nostro viaggio doveva durare un anno: dalla Terra alla base spaziale e poi di nuovo sulla Terra. Mi piacevano molto i miei colleghi perché erano tutti simpaticissimi e gentili; la mia migliore amica era Brianna, era totalmente diversa da me: lei era estroversa, bassa e viveva da sola; io invece un po' più introversa, alta e avevo un marito e due figlie (Miriam e Ally). Se Brianna fosse stata uguale a me mi sarei annoiata, penso... Josh era il tipico burlone: scherzava, ci faceva morire dal ridere e la sua risata mi piaceva molto perché era vera, cristallina -Adesso mi mancano le sue risate...- Poi c'era Alex: anche lui sposato e con un figlio (Tom), sempre pronto ad aiutare gli altri, non pensava mai per primo a se stesso. E infine Ruby: giovanissima, sempre con il sorriso stampato in faccia e con gli occhi blu, quel blu intenso, che quando lo guardi ti ci perdi dentro. Dopo un mese di viaggio, vicino a Natale -è la mia festa preferita perchè mi ricordo l'atmosfera di quando ero bambina e andavo a casa di mia nonna, l'odore dei biscotti di cioccolato e i regali sotto l'albero- svegliandoci ci siamo sentiti come inebriati, pervasi dalla voglia di raggiungere un corpo celeste a noi sconosciuto. Non so bene come spiegarlo: il mio cervello (e presumo anche quello degli altri) mi diceva di invertire la rotta e di raggiungere un pianeta che sembrava brillare come una lucciola in una notte totalmente buia. Invertimmo la rotta e dopo due giorni di attesa stressante raggiungemmo la grande stella. L'atterraggio però fu così brusco che la navicella si ruppe e io mi procurai una contusione al braccio, ma non mi importava di niente, volevo solo scendere e baciare il terreno di quel corpo celeste. Scendemmo dalla navicella ormai distrutta e appena toccato il suolo, svanì immediatamente la sensazione-calamita che ci aveva spinti lì e ritornammo a vedere le cose come stavano: eravamo su un pianeta sconosciuto e non potevamo tornare indietro visto che non avevamo più un mezzo per andare via. Adesso la ferita bruciava sotto la tuta spaziale... mi accorsi che anche gli altri se n'erano resi conto e chiesi a Ruby come stava, lei mi rispose che non stava affatto bene e che era molto spaventata (non potevo certo biasimarla). Ci guardammo intorno: c'erano tante piante -credo che fossero piante, ma non ne sono certa neanche adesso...- Questi vegetali erano altissimi, di un verde brillante ed erano muniti di tentacoli... mi spaventavano. Camminammo per un po', in mezzo alle piante, stando sempre attenti a non sfiorarle, silenziosamente e ad un certo punto trovammo quella che ci sembrava una nave spaziale: era gigantesca e a forma di cubo. Guardandola ci si rendeva conto che non proveniva dalla Terra, ma quel cubo, chissà, forse poteva riportarci a casa... cosi salimmo sull'astronave: era piena di tasti che non conoscevamo. Provammo a premerli tutti, ma niente, non funzionava. Dopo una fragorosa risata, Josh disse "Evviva! Non potete immaginare la mia felicità! Siamo tutti morti, tutti! Sì!!!" e poi di nuovo la risata. Era impazzito... Il mio compagno di missioni uscì di corsa dal "cubo gigante" e si mise ad urlare; noi, ovviamente, gli corremmo dietro per fermarlo. Josh, ormai fuori di testa, cominciò a prendere a pugni una pianta, che per tutta risposta, allungò uno dei suoi tentacoli (erano come dei tubi trasparenti) e piantò degli spuntoni, che si trovavano sotto ogni tentacolo, nella testa del mio collega. I tentacoli diventarono rossi: al loro interno stava scorrendo un liquido rosso. Dopo pochi secondi ci rendemmo conto che quella sostanza era il sangue di Josh. Volevo scappare alla velocità della luce, ma i miei piedi si erano come incollati al suolo e i miei occhi non potevano chiudersi, volevano che assistessi alla scena. Poi la pianta, dopo aver svuotato il corpo del mio povero compagno, ritrasse il tentacolo e l'involucro di Josh cadde a terra. Guardai Alex; era immobile, gli occhi sgranati. Brianna era accovacciata e si stringeva le ginocchia al petto e Ruby piangeva. Era scesa la sera e avevamo fame... tanta fame -Pensavo, con nostalgia, ai piatti che mi cucinava mia nonna: polpettone, crespelle, torte, pasticcini...- Mi tornò in mente che nella nostra navicella c'erano delle scorte di cibo: varie barrette, carne essiccata e frutta secca. Mi proposi di andarli a recuperare e Alex volle venire con me; Brianna e Ruby rimasero nel "cubo". Ci mettemmo una ventina di minuti per raggiungere ciò che rimaneva della nostra scatola di metallo che fino al giorno prima solcava l'immenso mare scuro e infinito pieno di conchiglie luccicanti. Io e Alex, sempre in silenzio, cercammo il cibo e poi tornammo al grande cubo con barrette, carne e frutta. Quella sera mangiammo una barretta ciascuno e faticammo ad addormentarci -Tutte le volte che chiudevo gli occhi vedevo il corpo di Josh svuotato della sua anima ridente- Mi svegliai con la luce del so... ah, no, non era il sole. Brianna era già sveglia. "Buongiorno" "Buongiorno..." "Come stai?" "Male! Un mio amico è appena morto!" "..." "Io voglio seppellirlo" "Cosa?" "Hai capito" "Ok... andiamo adesso? Gli altri dormono" "Va bene, andiamo" Così, per accontentare Brianna, ci mettemmo a camminare silenziosamente per raggiungere Josh. Lo trovammo già in via di decomposizione, con insetti strani che si cibavano di lui. La mia migliore amica si inginocchiò per terra e cominciò a scavare con le proprie mani; iniziai ad aiutarla. Una volta terminata la fossa, Brianna si mise ad urlare e a piangere. Io mi avvicinai a lei ma prima che potessi raggiungerla, una pianta, che si era accorta di noi per le urla di Brianna, conficcò gli spuntoni nella testa di quest'ultima e cominciò a prosciugarla. Io tentai di scappare -Sì, lo so, che è poco da amica, sono una codarda...- ma la pianta infilò le spine nel mio braccio. Nell'istante in cui la punta mi forò la pelle, la pianta mi trasmise i suoi ricordi: ero un pino alto, verde e rigoglioso, guardavo dall'alto la vita dei piccoli omini viola che camminavano per le strade. Un giorno un'ondata di calore, un'esplosione mi travolse e bruciò tutti i miei aghi. Nel giro di dieci giorni mi trasformai. Divenni come un grosso gambo di margherita, mi crebbero dei tentacoli che avevano tante spine, volevo bere, avevo sete. Passava di lì un uomo, spaventato ed io piantai le spine nella sua testa. Cominciai a berlo e mi sentii sazia. A distanza di un anno le forme di uomini viola si erano estinte. Avevo sete e attirai sul mio pianeta altre forme di vita per cibarmi. Tutto questo durò pochi secondi. Tornai in me e gli spuntoni, conficcati nel mio braccio, facevano malissimo e mi misi ad urlare. Aprii gli occhi e vidi Alex davanti a me e Brianna ormai morta. Alex mi strappò le spine dal braccio e mi buttò a terra. La pianta a questo punto lo prese e quello che vidi prima di svenire era Ruby che mi trascinava piangendo alla nave aliena. Rinvenni il giorno dopo. Il mio braccio era fasciato da foglie, faceva male, bruciava. Ruby era dall'altra parte della stanza e stava mangiando una barretta. Si accorse che ero sveglia e mi venne vicino. "Ruby! Alex e Brianna sono morti giusto?" "Sì..." Mi alzai e mangiai un po' di frutta secca… "Jane, resta poco cibo" "Lo so, oggi vado a vedere se ne trovo dell'altro" "Vengo anch'io" "No" "Sì, invece. Avete fatto tutto voi, io ho solo mangiato. Voglio rendermi utile!" Così, quel pomeriggio, ci incamminammo verso la nostra navicella. Passammo vicino ai corpi dei nostri amici, ma cercammo di non guardarli. Arrivate ci fermammo. Guardai Ruby nei suoi occhi blu, quei bellissimi, profondi occhi blu ormai pieni di terrore e tristezza. "Ruby" "..." "Devi stare calma, tranquilla ce la faremo" "Ok…" Non trovammo altro cibo e perciò lo andammo a cercare. Non c'era niente. Durante la via del ritorno Ruby inciampò nelle radici di una pianta. Come al solito, prima che potessi intervenire, quest'ultima prese la mia collega e cominciò a berla. Io non potevo fare niente! Era orribile! Iniziai a piangere e a singhiozzare quando il suo corpo cadde per terra. Aveva gli occhi aperti: quel blu intenso se n'era andato e aveva lasciato il posto al terrore e alla morte. Le chiusi gli occhi. Adesso sono nella nave aliena a scrivere -ho trovato una penna e un taccuino nella mia tuta- Ho scritto la mia storia. Sono rimasta da sola, le scorte di cibo sono quasi finite. Morirò qui. La mia speranza è quella che qualcuno venga a salvarmi, ma so che non succederà. Sono spaventata e visto che dovrò morire penso che mi suiciderò. Non so come, ma di certo non aspetterò di morire di fame o di essere bevuta. Addio Jane Brown |
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Gennaio 2018
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